La Verità, vi prego, sul Natale! Una Storia… per tutte le Storie.

C’era una volta una bambina confusa. Parecchio, confusa. E anche un pochino triste. Non triste come la piccola fiammiferaia, no. Lei non era povera, e non era sola. La nonna le leggeva quella fiaba, da piccina, e le diceva sei tanto fortunata te, piccola mia, che non devi scaldarti con dei fiammiferi e vivere di elemosina, e aveva ragione. Le faceva paura quella storia, e se le capitava di incontrare qualche bimba sconosciuta al parchetto, si accertava sempre che ci fosse qualcuno con lei. E che non avesse fiammiferi da vendere. Però era piena di dubbi, il Natale si stava avvicinando, e lei non riusciva a trovare risposta a nessuna delle sue domande, sempre più incalzanti. Melissa aveva quasi nove anni, si sentiva grande, una ragazzina, come la chiamava la mamma, di solito quando aveva bisogno di aiuto in cucina, o le rimproverava il disordine in cameretta. 

“E allora, se sono abbastanza grande da piegarmi i vestiti da sola e fare le spremute d’arancia, perché non mi dicono la verità, una volta per tutte, sul Natale?”
Se lo chiedeva sempre più spesso. Aveva raccolto indizi, prove, non le tornava nulla. Annotava tutto su un taccuino segreto, che nascondeva sotto al cuscino, la notte, perché quell’impiccione di suo fratello non lo scovasse. Anche lui sapeva leggere ormai, e c’era da stare attenti. Molto attenti. 
La bambina si tormentava da anni ormai sulla questione Babbo Natale. Perchè mai un vecchietto dovrebbe farsi carico di portare regali in tutto il mondo, e perché proprio la notte di Natale? 

Sul come, si era fatta un’idea, tra film, confronti con le amiche, testimonianze dirette (Carmela lo aveva visto, lo aveva addirittura filmato la telecamera della sala, quella dell’allarme!) e un libro che le aveva regalato suo padre, “Babbo Natale, tutta la verità”. Fondamentalmente, si trattava di magia. Una magia che permetteva al tempo di dilatarsi all’infinito, in modo che in una sola notte fosse possibile raggiungere tutto il mondo. La stessa magia che consentiva all’enorme fabbrica di giocattoli di restare invisibile, con tutta la strumentazione, gli elfi, i folletti, nel cuore ghiacciato della Lapponia. Su questo, Melissa si sentiva tranquilla. Non aveva mai messo in dubbio l’esistenza della magia, della fate e delle sirene. La mamma e il papà, quando lei era piccola, ne avevano salvata una, piccina, una sirenetta, e lei se lo ricordava. Vagamente, più attraverso i racconti dei genitori che per memoria diretta, ma aveva solo due anni, era normale così. 

Quello che non le tornava, sulla questione Babbo Natale, era il perchè. Se uno ha il potere di fermare il tempo, si diceva analizzando i suoi appunti, perché sceglie di adoperarlo così? Perché utilizzare dei poteri magici solo per portare doni ai bambini? Potrebbe fare qualsiasi cosa, e invece… forse per la sua bontà d’animo? Solo per questo? Ma se è così buono, perché allora non li porta a tutti, i doni? 
Melissa non ne veniva a capo. La sua amica Lavinia, ad esempio, diceva sempre che Babbo Natale non esiste, e infatti non le portava nulla. Nessun regalo, perché a lei, il pacco, lo incartavano i genitori, e lo scartavano tutti insieme al pranzo di Natale. Nessun caminetto, nessuna notte magica, nessuna tazza di latte e biscotti. Melissa, che fino all’anno prima non aveva mai vacillato sulle sue certezze, per la prima volta stava dubitando che Lavinia, forse, avesse tutto sommato ragione. 
“Se Babbo Natale esistesse, porterebbe i doni più grossi e belli proprio a quelli che non credono in lui, così si rimangiano tutto!” si diceva, riflettendo ad alta voce sull’ovvietà di un concetto tanto elementare che, in effetti, lo avrebbe capito perfino suo fratello. 

Ci aveva provato anche in maniera scientifica, ad affrontare la questione. Ed era partita proprio da lui.
“Ehi, sgorbio, secondo te…”
“Non sono uno sgorbio!”
“Va beh, dai, comunque, secondo te, perchè Babbo Natale non porta i regali a chi non ci crede, così li convincerebbe che sono sciocchi?”
“Forse perché sono cattivi, e non se li meritano?”
Le era sembrata un’ipotesi interessante, e così aveva fatto una tabella. Aveva diviso un foglio a metà, per il lungo. A sinistra aveva messo quelli che credevano a Babbo Natale, e a destra quelli che non ci credevano. Per fortuna, erano pochi, gli scettici. Una decina in tutto. Poi aveva preso un evidenziatore, rosa. E aveva iniziato a sottolineare quelli che erano, senza ombra di dubbio, buoni. Talmente buoni che era impossibile pensare che non meritassero i regali di Natale. Ne aveva sottolineati sei, sei! tra quelli che non credevano. Decisamente troppi. E l’ipotesi del fratello, l’aveva scartata. 

C’era poi la questione della corrispondenza. La nonna, per fugare i suoi primi dubbi, qualche anno prima le aveva detto che Babbo Natale porta i doni solo a chi scrive la letterina. Non va nelle case di chi non gliela scrive, perché pensa che non vogliono ricevere regali. Ma l’anno dopo, quel pigrone di suo fratello si era dimenticato di scrivere la lettera, tutti i giorni rimandava al giorno dopo, sfaticato com’era, e alla fine se ne era scordato. Eppure, il regalo era arrivato lo stesso. Proprio quello che aveva chiesto, anche se non per iscritto. E anche quella teoria, era miseramente crollata. 
Susanna, una sua compagna di classe con cui condivideva dubbi e strategie, aveva fatto di più. Aveva teso una trappola a Babbo Natale in persona. Aveva nascosto la lettera, in un posto che non aveva rivelato a nessuno. 
“Se Babbo Natale esiste, ed è davvero magico, questo Natale io lo scopro”, aveva sussurrato a Melissa, mentre la maestra scriveva alla lavagna delle operazioni in colonna. “Se non arriva nessun regalo, allora ci hanno sempre fregato. Fregato alla grande.”
La mattina di Natale Susanna aveva chiamato Melissa: “La lettera è sparita, ed è arrivato proprio quello che avevo chiesto! Meli te lo giuro, era impossibile, introvabile!”
Non bastò per fugare i dubbi. Forse che Babbo Natale fosse in realtà una specie di angelo, che ogni anno vuole festeggiare così il compleanno di Gesù Bambino? Rendendo felici i bambini con dei doni? Melissa frequentava il catechismo, e aveva ben chiaro che la notte di Natale, Gesù era nato in una piccola mangiatoia, a Betlemme, e che quella nascita era stata così importante che la si celebrava  ancora in tutto il mondo, dopo più di 2000 anni. Ma perchè i regali? Quando uno compie gli anni, il regalo si fa al festeggiato e non viceversa! E poi, per quel poco che aveva capito di angeli eccetera, non le sembrava c’entrassero molto renne, slitte, elfi e folletti. Gli angeli sanno già volare, hanno le ali, non hanno bisogno di una slitta volante né tantomeno di Rudolph! 

E poi c’era una questione che aveva affrontato più volte con Mattia, il suo compagno più bravo di tutti in matematica. A che età, di preciso, si smette di essere sulla lista dei bambini di Babbo Natale? No perchè anche su questo, non c’era omogeneità. E un Babbo equo e magnanimo, un vecchietto talmente buono di usare il dono della magia di cui dispone solo per far felici i bambini, perchè dovrebbe andare dalla cugina di Lavinia, che ha già 15 anni compiuti e si rade i peli delle ascelle, e non dovrebbe invece andare dai vicini di casa di Mattia, che di anni ne hanno solo 12 e 14, ma i loro genitori dicono che sono troppo grandi per Babbo Natale? Che senso ha? Addirittura la zia di Susanna, che ormai prende la patente, dice che Babbo Natale le porta i regali tutti gli anni! Può essere considerato ancora bambino, uno che sta imparando a guidare una macchina? 
Mattia aveva fatto un sacco di calcoli, aveva provato con le addizioni, poi con le sottrazioni, aveva osato anche qualche moltiplicazione, ma niente da fare. Non aveva trovato l’operazione giusta per sciogliere l’enigma. 
“Probabilmente Meli – aveva sospirato, riconsegnandole i fogli con gli appunti – servono delle divisioni, ma non le abbiamo ancora fatte. L’anno prossimo ci riprovo, e vedrai che ci riusciamo.” 

Le era rimasta solo una cosa da fare. Restare alzata tutta la notte, e chiederlo direttamente a lui. A Babbo Natale. “Sempre che esista davvero, ovvio”, aveva precisato, sbirciando le occhiate sornione tra i suoi genitori, quando aveva dato loro l’annuncio. 
“Questo Natale, io e Gigi passeremo la notte svegli. Tutta la notte. Fino all’alba.”
“Ma io voglio dormire!”
“ZITTO TU! Staremo svegli, e chiariremo la faccenda una volta per tutte.”
“Meli, io…”
“Mamma, se ce lo impedisci, sarà la prova inconfutabile che Babbo Natale non esiste, e che voi ci avete sempre ingannato.” 
Suo padre si fissava tutto concentrato la punta delle scarpe come le vedesse per la prima volta. Sua mamma sorrise.
“E va bene, vi tiro fuori i sacchi a pelo. Se dovete passare la notte svegli, tanto vale che vi mettiate sul tappeto, in sala, davanti al camino. Così lo beccate appena sbuca fuori.”
“Grazie mamma, sei la migliore!”
Melissa l’aveva abbracciata forte, mentre Gigi e papà si erano scambiati uno sguardo perplesso.

La sera della vigilia, avevano mangiato con i nonni, poi era finalmente scesa la notte e tutto era pronto. Non appena i due fratelli rimasero soli, Melissa sfoderò la sorpresa.
“Guarda, sgorbio, se la mamma sapesse cosa le ho rubato dalla borsetta!”
“Meli! Ma quella è roba da grandi!”
“Non fare il moccioso, scarta e butta giù, due a testa, e non ci addormentiamo neanche, ma neanche!”
“E se la mamma ci scopre?”
“Le diremo che avevamo voglia di cioccolatini e non avevamo capito che questi erano al caffè.”
“Ok. Dammi qua. BLEAAAAA ma fa schifo!”
“Pensa che la mamma ne mangia di continuo!”
“I grandi sono matti a dire che il caffè è buono, fa vomitare!”
“Sei esagerato, è solo amaro. Mangiane un altro dai, non possiamo rischiare di addormentarci!”
“No Meli, ho paura, e se ci fa male?”
“E se ci addormentiamo? Su dai. E dammi la carta che la facciamo sparire!”
L’orologio appeso sopra al camino segnava l’una e mezza. Non erano mai stati svegli fino a così tardi, nemmeno a capodanno. 
“Meli, io muoio di sonno, chiudo gli occhi un attimo, ok?”
“NO! Datti dei pizzichi, non possiamo mollarci adesso!”
Anche lei sentiva gli occhi pesanti, nel sacco a pelo c’era un bel tepore morbido e caldo, dovevano uscire, ecco cosa dovevano fare, serviva una bella sferzata di aria gelida. A fatica aprì la cerniera, suo fratello stava russando, quando vide qualcosa che la bloccò: stava sognando? Impossibile, era sveglia.

“Gigi, Gigi, svegliati!”
Fuoriuscivano come dei piccoli fiocchi di neve. Dal caminetto, ovviamente spento. Ma fuori non nevicava! E non erano fiocchi normali, perchè galleggiavano nell’aria, salivano verso l’alto invece che scendere. Erano come cristalli, riflettevano la luce e danzavano, volteggiavano intorno a loro.
“Meli, io ho paura, cosa sta succedendo? Chiama la mamma!”
Gigi si era svegliato. Il silenzio pareva quasi irreale, come se la casa fosse sprofondata in un sonno incantato, di fiaba. Non si sentiva alcun rumore provenire dalla camera dei genitori, nemmeno il russare sommesso del papà, nemmeno quello.
D’un tratto, un crepitio. Dal camino. E poi un altro. Qualcosa, stava scendendo. Melissa afferrò d’istinto la mano di suo fratello. Era ghiacciata.
“Ci siamo Gigi, ci siamo.”
Con i fiocchi di neve, ora dal camino stava facendo capolino anche qualcos’altro. Erano… farfalle? Si, sembravano piccole farfalle. O lucciole, forse. Brillavano al buio. Una si posò sulla testa di Gigi. Melissa la guardò da vicino. Non era una farfalla. 
“Una fata! Gigi, una fata!”
Erano piccine, minuscole come insetti, ma erano fatine bellissime, sorridenti, con lunghi capelli che fluttuavano e ali argentate appuntite. E le gambe… 
“Non sono fate Meli! SONO PESCI!”
“No Gigi. Sono SIRENE.” 
“O – MIO – DIO.”

Ed ecco che dal camino esplose come un nugolo di cristalli di ghiaccio, solo che… non erano più cristalli. Avevano assunto una forma umana. O quasi. 
“Meli… com’è che si chiamano le sirene maschi?”
Melissa avrebbe voluto rispondere “tritoni”, ma non le uscì un fiato dalla bocca. Non potevano credere allo spettacolo che si stava presentando ai loro occhi. LUI. Si, era proprio lui. In carne e ossa. E coda. Senza ombra di dubbio. Fluttuava, in aria, con il cappello rosso, inconfondibile. La lunga barba bianca gli ondeggiava intorno al corpo, sinuoso. I colori, i tratti, erano quelli, era lui per forza.  La cintura nera intorno alla vita. Il sacco a tracolla. E quel cappello. Melissa era paralizzata. A parlare, toccò a Gigi.
“Scusa, e tu saresti…?
“Ciao ragazzi, non ricordo più come si era detto per la coda, spero che questo effetto cangiante vi piaccia. Lascia la scia, fico vero?” 

Aveva parlato. Il tritone gigante aveva parlato. E aveva fluttuato muovendo di colpo la coda, come a sferzare un colpo a un pallone inesistente, e una scia di piccoli cristalli luminosi si era materializzata tutto intorno. Quei cristalli che avevano visto per primi fuoriuscire dal camino. 
Melissa osservava la scena estasiata.
I cristalli vorticavano in aria, come pulviscolo, e le fatine ridevano e danzavano tutto intorno. Una era più grossa delle altre. Anche Gigi l’aveva notata. C’era qualcosa che brillava, come un riflesso rosso… no, non era possibile. 
Gigi si voltò verso sua sorella. 
“É un naso, quello? Rosso? Lo vedi anche tu?”
“Ehi, Rudolph, saluta i nostri amici. Hai visto come sono cresciuti dallo scorso anno?”
“RUDOLPH?
I due fratelli avevano parlato all’unisono.
“Ovvio, e chi sennò? Se io sono Babbo Natale, lei è la mia fedele Rudolph, o chi la portava la slitta stanotte, con la nebbia che c’è da queste parti?”
“Meli… ci siamo addormentati e stiamo sognando, non è vero?”
Melissa si limitò a scuotere la testa. 

Babbo-tritone si mise a sedere. “Non mi abituerò mai a questa cosa che non vi ricordate un tubo, da un anno all’altro. Eh va beh, pazienza, tanto abbiamo tutto il tempo del mondo. Allora, vediamo di ricapitolare la questione.” 
E così fece. E parlò, parlò per un tempo che ai due fratellini parve infinito. 
Raccontò loro della magia del Natale, del tempo che si ferma, che si dilata, che si prolunga all’infinito. Dello spirito del Natale, che alcuni chiamano Babbo Natale, altri Santa Claus, altri ancora San Nicola. Uno spirito che esiste perché è sempre esistito, e che per ragioni misteriose che si perdono nella notte dei tempi, per una notte speciale, e solo per quella, si manifesta, a tutti coloro che credono in lui, porta loro i doni che desiderano, mostrandosi nella forma che più si addice, di volta in volta. In base alle tradizioni, ai tempi, e a volte, dietro specifica richiesta.
“Di solito mi manifesto nelle sembianze a voi più familiari, tipo quella canonica di Babbo Natale a cui siete abituati, con il vestito rosso, il pancione e tutto il resto. Ma io posso assumere l’aspetto che voglio. E sei tu, mia cara Melissa, che lo scorso anno mi hai chiesto di venire così. Volevi la sirena, tuo fratello ha un po’ brontolato, ma poi ti ha accontentato, come sempre.”
“IO?”
Melissa sobbalzò. 
“E perchè non me lo ricordo?”
“Fa parte del mistero. Non tutto può essere svelato, non tutto può essere compreso. É una notte magica, ve l’ho detto. Si aprono delle porte, per chi ci crede, per chi ci crede per davvero. Porte che all’alba si richiudono. E quando l’incanto finisce, si porta via tutto, compreso il ricordo di quello che è successo. Ogni parola.”
“I regali restano però, non è vero?” si affrettò a chiedere Gigi.
La fatina Rudolph scoppiò a ridere. In effetti, somigliava un po’ a una renna, a guardarla bene da vicino. 
“Ma certo!” 
Ora sorrideva anche Babbo Natale. 
“Io non capisco…” 
Melissa scuoteva la testa. 

“E allora Carmela? Come ha fatto a filmarti? Cancelli i ricordi ma non le telecamere? Non ha senso!”
“Non ero io, sono stati i suoi genitori. Tutta una messa in scena, per farle credere che io esisto. Che buffo. Mentre loro si fingevano me, io ballavo con Carmela sui tetti di Parigi, la sua città del cuore. Quanto ci siamo divertiti, vero Rudolph?!”
“E poi, perchè solo i bambini? Perché crescendo tutto questo deve finire? Io non voglio crescere, io non voglio che finisca!”
A Melissa si inumidirono un po’ gli occhi.
“Non finisce nulla.”
Babbo Natale si avvicinò, e accarezzò i riccioli arruffati della bambina. 
“Finisce solo per chi non crede più. Per chi non vuole più credere. Per chi mi chiude la porta in faccia. Lo spirito del Natale fa visita a tutti i bambini, da che vengono al mondo e finché i loro cuori lo desiderano. Ma nè io nè il mio fedele aiutante Rudolph possiamo varcare la soglia di chi non ci vuole più. A volte, crescendo, capita che i bambini perdano la magia. E con lei, i sogni. Ma non succede a tutti, sapete? Infatti sono stato da vostra mamma, prima di scendere qua.”
“Non ci credo! La mamma scrive la letterina a Babbo Natale?”
“No, la letterina è divertente, ma io leggo nei cuori, non ne ho davvero bisogno.”
Melissa si alzò di scatto, arrabbiata.
“Ci stai prendendo in giro, gli adulti non ricevono i regali da Babbo Natale, gli adulti se li fanno tra di loro, cosa credi che siamo scemi io e Gigi? Lui forse un pochino si, io no!”
“Agli adulti non porto doni da scartare.”
“E allora…?”
“Chi crede nello Spirito del Natale, chi ci crede davvero, mi chiede altro. E io… beh, glielo porto. Poi dimenticano, come voi, come tutti. Ma tua mamma, domani mattina, riceverà quella telefonata. Che quasi non ci sperava più.”
“E da chi, scusa?”
“Tu vuoi sapere troppe cose. Lo so. Sono anni che mi chiedi le stesse identiche cose. Sei speciale, mia piccola Meli, tu sei proprio una bambina speciale. E quest’anno ho deciso che ti lascerò un semino nel cuore. Piccino piccino. Un granello di polvere di ghiaccio. Un granello magico.” 
“Anche a me, ti prego Babbo-sirena, anche a me!”, urlò Gigi.
“Tu non ne hai bisogno, tu credi e basta. Questa piccola qua invece – sorrise in direzione di Melissa – ha bisogno di un piccolo aiuto per sciogliere i dubbi. Ecco, vieni qua.”

Melissa, ancora un po’ titubante, si avvicinò.
Babbo Natale soffiò in direzione del suo petto, e un piccolo fiocco di neve, che brillava come una stella, sembrò davvero infilarsi sotto al pigiama. 
“Come ti senti adesso, mia cara?”
Melissa sgranò gli occhi. 
“Sei davvero tu… sei Babbo Natale.”
“Certo che lo sono. E lo sarò finché lo vorrai.”
Gigi abbracciò forte la sorella. Melissa sentì una piccola lacrima fare capolino e se l’asciugò in fretta e furia con la mano. 
“Hai detto che tu fai visita a tutti i bambini”
“Esatto, proprio così.”
“Non vai solo da quelli buoni?”
“I bambini sono tutti buoni.”
“E quelli che dicono che non esisti?”
“Hanno solo paura.”
“E perchè sei così cattivo che non gli porti nulla? Anche loro meritano un regalo, non credi?”
“Io porto i regali a tutti i bambini.”
“Non è vero! E Lavinia, allora?”
“É lei che me lo fa portare indietro, il giocattolo, ogni anno.” 
“E perché?”
“Perché mi dice ogni volta che il dono più grande è sapere che esisto, e che non ha bisogno di nient’altro.” 
Melissa si era di nuovo ammutolita. Stavolta però, non più per la paura.
“É tempo che andiamo, ora. Tante altre case aspettano la nostra visita.
Melissa, serba con cura il semino che hai nel cuore. Gigi, che la magia del tuo animo puro ti conduca nella vita ovunque vorrai. Al prossimo Natale, miei cari.”
“Aspetta!”,  gridò Gigi. “Il prossimo anno ti prego, vieni Babbo Natale, quello vero, con il pancione, il mantello e tutto il resto, ma con la maglia della Juve e i parastinchi? Ti prego ti prego ti prego!”
“Melissa, che ne pensi?”
“Direi che si può fare.”
“Affare fatto, allora. Buon Natale. E ora… dormite”.
Rudolph e le altre fatine sparsero la loro polvere magica e in un battibaleno, tutto si dissolse. 

“Meli! Gigi! Allora, dormiglioni! Siete riusciti a stare svegli tutta la notte?”
La mamma era raggiante, mentre apriva le imposte del soggiorno. 
“Mamma che succede? Sei strana.”
“Niente amore, sono solo felice, perché ha chiamato lo zio. Tu piuttosto! Che prove abbiamo raccolto stanotte? Impronte? Rumori sospetti?” 
“I REGALIIIIIIIIII! YUPPIIIIII!”
Gigi aveva trovato i pacchi sotto al divano letto.
“Beh Meli, allora, lo avete visto si o no, Babbo Natale?”
Melissa si strinse d’istinto le mani al petto. Avvertiva come un calore, appena sotto al pigiama. Guardò la mamma, aveva pianto, ma non era triste, anzi. Guardò suo fratello, che ballava per tutta la stanza scuotendo il pacco che portava il suo nome come fosse una maracas. Guardò suo papà, che fingeva di guardare il telefono, sornione, attento a non perdersi nulla. 
“Non siamo riusciti a restare svegli, mamma. Ma non importa.”
“Si ricomincia con le ricerche, dunque…?”
“No. Lui ESISTE, punto. Ora lo so. Lo so, e basta. Mamma, che voleva lo zio? Quant’è che non …?”
“Io non ricordo nemmeno più che faccia ha”, borbottò Gigi.
“É una lunga storia, lasciamo stare. Piuttosto, aiutatemi che oggi a pranzo dalla nonna viene anche lui, forza su, sotto con i regali, e poi tutti in cucina che a noi toccano gli antipasti!”
“Lo zio? Lo zio torna dalla nonna? A pranzo? Per Natale? Ma non…”
“Venite qua.” La mamma strinse Melissa e Gigi con tutte le sue forze. E il papà si unì a loro. 
“Credevo non vi sareste parlati mai più, sai mamma?”
“Anche io Meli. Anche io. Si vede che qualche volta invece, accadono anche le… le magie.”“É Natale mamma. E a Natale, può succedere. Se uno ci crede. Se ci crede PER DAVVERO.”
Rumino Ergo Sum